Dopo tre perle al vetriolo i Coen tornano con un nuovo adattamento del classico western di Charles Portis (non è un remake del film con John Wayne) e spiazzano tutti, confezionando una pellicola ultra classica, più vicina ad operazioni malinconiche come il recente Appaloosa che ad aggiornamenti e destrutturazioni uscite negli ultimi anni (vedi Raimi, Eastwood, Dominik). Tanti dialoghi, lunghe attese, alleggerimenti ironici: il viaggio iniziatico della piccola Mattie (Hailee Steinfeld, una rivelazione) orfana di padre che trova nei personaggi dello sceriffo alcolizzato (Bridges, che gigioneggia anche più del necessario) e del risoluto ranger (Damon) due modelli di riferimento, è, almeno in superficie, epurato dal lato più grottesco del cinema dei fratelli (se si eccettua la comparsa dell'indiano e alcune esplosioni di violenza), e con questo si spiega l'enorme successo al box office Usa, ma è un omaggio esplicito e sentito ad un cinema ormai scomparso. Confezione ineccepibile (fotografia di Roger Deakins, musiche di Carter Burwell che rielabora inni religiosi dell'epoca), ma manca il guizzo geniale che avrebbe fatto gridare al capolavoro.
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