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A Hollywood ci sono due Ben Stiller. Il primo è quello delle commedie digeribili e che fanno ridere tutta la famiglia, alla
Ti Presento i Miei per intenderci, il secondo è quello alla
Zoolander, folle e anarchico comico che da del demenziale la sua bandiera. Sinceramente, pur non disdegnando il primo, preferiamo il secondo. Eccome se lo preferiamo.
E in questo film, nella parte del cattivone, Stiller incarna proprio la sua metà demenziale, stupida, incontenibile.

In realtà è l’intero progetto ad essere nato sotto il segno della demenzialità, genere che ultimamente sta andando alla grande oltreoceano. Due anni fa il successo arrise a
Fatti Strafatti e Strafighe,
Hey Dude, Where is my Car? in originale, mentre questo Dodgeball: A True Underdog Story è stato il non annunciato blockbuster dell’estate, battendo addirittura la coppia Spielberg Hanks di
The Terminal.
La trama del lungometraggio è addirittura risibile: una piccola palestra di quartiere gestita dal protagonista è minacciata dall’ex grasso Stiller, ora padrone di una catena di palestre molto alla moda, chiamata Globo Gym. I debiti stanno strangolando Vince Vaughn e lui, per salvare la sua attività, cercherà diverse strade. Naturalmente il modo più veloce per guadagnare 50,000 dollari è vincere il torneo di dodgeball di Las Vegas.

La domanda che ci tormenta, a questo punto, è la seguente:
Ma che cavolo è il dodgeball?
La risposta è molto semplice: Palla Avvelenata, cioè una specie di palla avvelenata, molto più violenta e cattiva, ma sempre uno sport per bambini, come è illustrato da uno spassoso filmtato anni ’50 di educazione fisica.
Classica storia di caduta e riscatto, questo film vorrebbe essere una satira degli sport professionistici americani, naturalmente condita di buoni sentimenti e amore. Non c’è nessuna sorpresa, salvo forse nel finale, dove una battutaccia fa almeno alzare il sopracciglio.
Non possiamo dire che sia riuscito questo lungometraggio. Anzi, il ritmo latita e le consuete invenzioni verbale che di solito vengono scritte per Stiller non sono all’altezza di altre commedie. Ma alcune sequenze fanno almeno ridere e lasciano al film almeno la possibilità di intrattenere in una serata spenta.

Quello che resta alla fine è un cameo del più grande ciclista contemporaneo, Lance Armstrong, in una infervorata arringa in favore dell’impegno sportivo e del non mollare mai. Ma resta anche la sensazione che il cinema, al di là dell’oceano, stia diventando sempre di più un affare da tredicenni, e da tredicenni americani. Per quanto ci riguarda siamo abituati meglio e le commedie demenziali citate sopra se la cavano tutte meglio di questa. Perciò ci sentiamo di consigliare quest’opera solo ai fan assoluti di Ben Stiller, o ad una serata dove proprio non c’è nulla di meglio da fare. Anche perché, che volete farci, il film è bruttino, ma almeno in certi momenti si ride: magari non proprio di gusto, ma si ride.