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Mar 27 2008

Due giorni alla Caritas

di Lisa Viola Rossi

Il volontariato, una risorsa concreta per la società

La colazioneInvece di recarmi come ogni mattina in redazione, qualche giorno fa ho inforcato la bicicletta per correre verso via Bresavola 19, dove ha sede la Caritas Diocesana di Ferrara-Comacchio.
Alle otto e mezza, entusiasticamente puntuale, vengo accolta da una decina di persone, tutte sedute a una tavola apparecchiata per colazione a base di dolci e caffèlatte. Sono gli operatori - Paolo e Michele -, il custode, Aldo, che fu tra i primi ad essere assistiti, i volontari, “semplici” – come il giovane Armand, fisico camerunese e come tanti giovani e immigrati, precario. Ma c'è anche Sebastian, studente francese di ingegneria che è stagista a Ferrara -, insieme ad altri giovani inseriti in specifici progetti del Servizio Civile Nazionale, Regionale, e Europeo – che provengono per lo più da Belgio, Germania, Romania, Ungheria e Galizia -, e infine c’è Chiara, referente dell’Ufficio Servizio Civile.
In magazzinoPrestare il proprio tempo in un’attività di volontariato significa far fronte a un’occupazione consapevole, impegnativa, ma enormemente gratificante. Così mi si prospettavano questi due giorni di formazione in Caritas. Un valore comune a quello di essere un volontario del Servizio Civile, che significa dedicare un anno della propria vita per una crescita personale, al servizio dello Stato e della pace, con mezzi nonviolenti. Ci si sente cittadini attivi, capaci di contribuire allo sviluppo sociale, culturale ed economico del nostro Paese.
Michele, il nostro formatore, ci spiega cos’è la Caritas. Si tratta di un ufficio della diocesi, ente ecclesiale presieduto dal vescovo: si chiama ufficio pastorale della carità. Fa rete con molte altre associazioni e il suo valore cardine è la cultura della solidarietà. Essa si rivolge alla comunità - attraverso un’attività di sensibilizzazione, educazione al consumo critico e alla sobrietà -, e ai bisognosi - attraverso una cosiddetta pedagogia dei fatti.
La preparazione delle forchetteIl conflitto culturale a volte emerge tra i volontari e gli assistiti, specialmente con i musulmani: i primi non sempre capiscono la diversa forma mentis dei secondi, che si rifiutano di parlare con le operatrici in quanto donne, o che, per i loro precetti religiosi, evitano di mangiare il maiale. Ma Michele ci tiene a sottolineare la necessità primaria del riconoscimento della identità della persona, prima ancora del suo bisogno di nutrirsi, in un’ottica che si tinge di laicità.
Luana, volontaria del Servizio Civile all’Informacittà del Comune di Ferrara, Elisabetta e Marco, volontari al Museo di Scienze Naturali e io, trascorreremo questi due giorni alla mensa, che è il servizio principale fornito dalla Caritas.
Le attività che ci propongono sono molto diverse: dalla preparazione delle posate - serve a contare il numero delle persone che usufruiscono del servizio -, a quella del pranzo - in una cucina con 36°C! -, dalla selezione e stockaggio dei prodotti alimentari alla distribuzione ai capi di abbigliamento, dalla preparazione dei vassoi alla pulizia delle stoviglie e dei locali, sotto la direzione rigorosa e attenta del direttore, Paolo.
La signora AdaA mezzogiorno è l’ora del pranzo dei volontari, mentre gli indigenti si affollano nel giardino e sotto il porticato presso l’entrata alla mensa. Appena tre quarti d’ora dopo, le porte sono aperte e i vassoi pronti per loro.
Michele ci spiega che le persone che quotidianamente usufruiscono dei pasti caldi (pranzo e cena) presso la mensa sono circa trecento. Questo numero aumenta puntualmente fino a quattrocento appena dopo l’estate, quando gli immigrati che hanno fatto la stagione tentano la fortuna restando in Italia, e si fanno magari raggiungere dai propri familiari. Le persone che usufruiscono del pranzo sono soprattutto stranieri, provenienti dall’Europa nord orientale (Ucraina, Moldavia, Romania, Polonia), seguiti dagli italiani (molti sono gli anziani soli, ma anche i tossicodipendenti con un proprio “equilibrio”, le persone con disagi mentali o famiglie indigenti; mai i barboni, che non di rado rifiutano gli aiuti) e sono molti gli uomini del Nord Africa.Seguono filippini e africani, provenenti da Niger e Camerun, che sono per lo più donne e studenti lavoratori, e che, spiega Michele, “abbiamo sostenuto nella creazione di una propria associazione”. La preparazione dei vassoiLe donne, soprattutto tra i trenta e i cinquanta anni e provenienti dall’Europa dell’est, sono aumentate negli ultimi anni, sino a superare in numero la presenza maschile. Queste, per lo più badanti, inviano il proprio reddito alla famiglia, e risparmiano il più possibile per poter tornare presto a casa, per avviare una attività agricola o commerciale. I pochi uomini che le accompagnano sono per lo più muratori.
Quello che mi sorprende è il contatto diretto con persone che sono così lontano e al tempo stesso così vicino a me. Sono persone in difficoltà che chiedono di essere aiutate, hanno un passato che non conosco e probabilmente neanche posso immaginare, ma nei loro occhi si legge tanta forza, coraggio, e un velo di tristezza. Tante mi sorridono, mi ringraziano e mi augurano una buona giornata. Sono persone in difficoltà ma con una dignità che nemmeno tale condizione di marginalità estrema è riuscita a ledere. Si è coscienti di non fare abbastanza. Ci si chiede se un pasto caldo possa bastare, e la risposta è che almeno un bisogno è saziato…
Tutti i piatti, ci spiega Michele, sono preparati e distribuiti da diciassette gruppi di cinque volontari ciascuno, specialmente donne, come la signora Maria e la signora Ada, che si prestano da anni: Ada è volontaria da ben dieci anni. Servizio mensaI gruppi si alternano dal lunedì alla domenica, per un impegno che va dalle tre alle cinque ore ciascuno. La generosa disponibilità dei volontari e l’entusiasmo di alcuni contribuiscono a creare un clima accogliente. Ci si sente uniti per un comune obiettivo che esula da quelli che quotidianamente ci sentiamo imposti da una società tutta tesa alla produttività e al lucro, ed è gratificante impegnarsi in una attività di solidarietà sociale e umana.
Presso la mensa, c’è il magazzino: ci mostrano i prodotti, che derivano in gran parte dal Banco Alimentare (ente non a fine di lucro che raccoglie il surplus delle aziende, e i pacchi Agea ex Cee), dall’Ipercoop, da aziende ortofrutticole e da forni e pasticcerie, ma anche dalla generosità dei singoli. La comunità Il Ponte si occupa della raccolta e della selezione dei capi di abbigliamento e delle scarpe: i prodotti che non superano la soglia di qualità necessaria alla redistribuzione, sono venduti a una azienda di Prato che li ricicla. E' così che la Caritas si autofinanzia.
Un calendario appeso alla parete ci informa che i servizi della Caritas non finiscono con la mensa: si distribuiscono gli alimenti a lunga conservazione, indumenti, detersivi e prodotti per l’igiene personale, ed è permesso l’uso delle docce. E’ attivo un servizio di consulenza: il Chiara e Annalisa alla preparazione dei vassoicentro d’ascolto e orientamento, e il servizio legale. Sono attivi dei corsi di italiano per stranieri, che Michele ci informa siano frequentati da molti ragazzi cinesi, e possiede un archivio ricchissimo di atti e documenti consultabili da studenti e tutti coloro ne fossero interessati. Fornisce anche una assistenza economica di base alle famiglie indigenti e agli studenti universitari non altrimenti incentivati. Inoltre, attraverso la collaborazione con associazioni come Viale K, sono aperti dei centri di accoglienza multifunzionali, in particolare per donne e studenti stranieri.
Nel pomeriggio della seconda giornata di formazione alla Caritas, l’ora dell’uscita scocca e le emozioni, miste alla fatica, sono molte. Questi due giorni nel segno della solidarietà attiva, mi fanno sentire egoisticamente grata ai volontari della Caritas, che mi hanno accolto tra loro permettendomi di vivere l’opportunità di rendermi utile in favore di tante persone che non danno per scontato neppure un pasto.

Scritto da: Lisa Viola Rossi

Data: 27-03-2008

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