May 05 2010
di Sara Draghi
Molte persone vivono nel timore di subire qualche esperienza traumatica. I freaks sono nati con il loro trauma. Hanno già superato il loro test nella vita. Sono degli aristocratici.
Diane Arbus
I ritratti di Massimo Festi, artista multimediale tra pittura, fotografia digitale, performance e videoarte, sono interfacce stereotipate guidate da un inconscio istinto di conservazione. Nella continua e utopica ricerca di sintesi delle problematiche identitarie, le sue figure vogliono superare codici e simbologie e diventare comunicazione, ipertesto visivo. L’uomo e le relazioni umane sono al centro di tutto, in una sorta di Neoumanistica tecnopittorica e antropocentrica. Dai primi esperimenti digitali su supporti bidimensionali l’artista è passato alla performance e al video, e dunque ad una forma di narrazione più o meno esplicita, permettendo ai personaggi di prendere vita e forma, liberandosi del marchio di icona.
Sullo sfondo carte da parati, squisitamente decorative e simili a dipinti, per ricordarci l’anima pittorica dell’artista, legata all’immaginario iconografico occidentale, da Caravaggio a Francis Bacon, fino a nuovi tecnologi come Matthew Barney, Diane Arbus e Cindy Sherman.
Ogni fotografia è il residuo, il precipitato chimico di qualcosa che «è stato là», l’esperienza di una perdita, di una separazione, di una distanza. Fotografia è precarietà, è l’infinito istante, è la presenza di un'assenza, un'allucinazione visibile e insieme inattingibile che va ad ingiallirsi ai muri e viene lentamente ricoperta da uno strato di polvere.
Proiettati in un passato a noi vicino, in un atmosfera sospesa nel silenzio, gli antieroi borghesi di Massimo Festi indossano maschere che non occultano né nascondono deformità e imperfezioni, ma sono cucite addosso come seconde pelli.
Sono i Lionel, gli outsider, i travestiti, i nani e le prostitute di Diane Arbus, con la loro seducente fragilità, ad ispirare maggiormente il lavoro dell’artista. I personaggi nascono da una involuzione personale, scomodi abitatori dell’anticamera delle vanità, al limite della decadenza e dell’abbandono, in una provinciale corte dei miracoli che ha come colonna sonora una ninnananna per bambini.
Una intrusione voyeuristica e indiscreta nella vita altrui, un viaggio alla scoperta dei mostri, dei drammi interiori e delle maschere che ci coprono il volto e gli occhi, un analisi lucida e paradossale del malessere post-industriale.
Su binari paralleli corrono Invisible Monsters e Ninna nanna di Chuck Palahaniuk, due romanzi che attraverso il fantastico mettono in luce le apprensioni del vivere quotidiano e la ricerca del senso della esistenza individuale nella società contemporanea.
« Il mostro non è per forza qualcosa di cattivo, di spaventoso, di negativo, il vero significato della parola mostro indica qualcosa di superlativo, di speciale, di eccezionale. I mostri del nostro quotidiano sono quelli che non riusciamo ad essere e che invece vorremmo essere, sono qualcos’altro di diverso da noi. La maschera ci permette di nascondere noi stessi attraverso l’altro, e ci serve anche per diventare altro. Tra il sopra e il sotto c’è il dentro, dove si nasconde la nostra vera bellezza. E dentro non c’è altro che una seconda maschera, in un gioco di scatole cinesi imposta dalla società o dalla natura stessa».
«La mamma di Ninna nanna è una madre diversa, al limite della follia, indossa una maschera antigas che le serve da filtro nei confronti della realtà. Il suo desiderio di maternità la spinge a proteggere sé stessa e il suo bambino, che non è un vero bambino ma un bambolotto. Ma il vero mostro è lei. Francisco Goya incideva sui capricci "Il sonno della ragione genera mostri" e così la madre si addormenta con una ninna nanna in sottofondo».
«I matti portano addosso la propria pazzia, i diversi la propria diversità, non la nascondono, mentre i borghesi occultano i propri vizi, le proprie malefatte, celandole agli occhi estranei . C’è un atmosfera di disillusione, di un benessere in procinto di esaurirsi. Tutti i miei personaggi hanno qualcosa da nascondere, è per quello che si truccano, che si mascherano, perché la borghesia è sia povertà che ricchezza».
Massimo Festi è nato a Ferrara nel 1972. Si è diplomato nel 1998 all'Accademia di Belle Arti di Bologna con l'esperto di mutazioni legate ai linguaggi visivi Francesca Alfano Miglietti (FAM).
Sito internet: http://www.massimofesti.com/
Info: massimofesti@fastwebmail.it
Scritto da: Sara Draghi
Data: 05-05-2010
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