May 06 2011
Il ferrarese Matteo Bianchi è già alla seconda pubblicazione
di Grazia Russo
Quando incontro Matteo Bianchi il cortile della biblioteca Ariostea è pieno di ragazzi che studiano, più spesso chiacchierano e fumano, chissà se conoscono la storia poetica di un loro coetaneo mi chiedo, chissà se sono a conoscenza del fatto che il loro compagno di banco in sala studio coltiva una passione piuttosto insolita per i tempi che corrono: scrive poesie. È per questo che voglio raccontarvi la sua storia, soprattutto il percorso poetico che sta alla base della sua seconda raccolta. Matteo è molto giovane, a soli 24 anni è già vincitore e spesso finalista di molti concorsi poetici e autore di due raccolte di poesia, la prima, Poesie in bicicletta è andata in ristampa a distanza di tre anni. A parlare di lui molto prima di me e con una maggiore autorevolezza sono stati in tanti, per esempio la prefazione del suo secondo libro Fischi di merlo – che sarà presentato dallo scrittore Roberto Pazzi, in presenza dell’autore il 10 Maggio presso la sala Agnelli della biblioteca Ariostea alle 17:00 – è stata scritta da Roberto Dall’Olio, bolognese, professore liceale di storia e filosofia oltre che autore di poesie; mentre la quarta di copertina è a firma di Mario Specchio, poeta e professore di filologia germanica presso l’università di Siena. La poesia di Matteo Bianchi è una poesia in cammino, in entrambe le raccolte a emergere sono la città e gli spunti poetici che una città come Ferrara può dare e sa dare ad un occhio attento a raccoglierli. Una città che appare quasi eterea, astratta e metafisica vicina anche ad un immaginario sacrale che emerge prepotentemente nella seconda raccolta, dove le poesie sono inserite all’interno di un percorso, che dal basso si spinge alla conquista dell’altezza, in uno sviluppo in senso verticale che richiama molto da vicino il viaggio dantesco attraverso i tre regni dell’aldilà.
Come la precedente raccolta anche questa è suddivisa in parti, quattro per l’esattezza corrispondenti a quattro tappe della vita di ciascun uomo: dal punto più basso che si può arrivare a toccare (coincidente con l’inferno), fino al raggiungimento della vetta: il paradiso, conquista possibile grazie alla potenza dell’amore. Già Dante ha dimostrato come “l’amor che move il sole e l’altre stelle” sia il veicolo necessario per la rinascita dell’uomo e Bianchi muovendosi attraverso le strade di Ferrara, è riuscito a ritrovare anche all’interno di questa città il suo percorso, la strada dell’uomo del ventunesimo secolo attraverso i nomi di alcune strade ferraresi: da Via dell’Assiderato – già Via dell’Inferno – fino a Via Paradiso passando per Via Porta d’Amore. Come le tappe toccate, così anche le poesie si differenziano tra loro, frasi brevi e spezzate che si muovono da immagini fredde e spettrali nella prima sezione, scrive infatti: “mi sento un fantasma privata della carne sua profana. Forse un lenzuolo ammucchiato, forse un’anima vana”, a immagini di serenità profonda “felicità non è mai equilibrio: è un dolcissimo eccesso di vita infiammata, da indolenzire il cuore…”. L’assenza di titoli delle poesie indica quasi l’impossibilità di bloccare e definire i versi una volta e per sempre, carichi spesso di una “saggezza amara e antica … matura” ,che lo spinge anche ad usare un tipo di lessico aulico, quasi impensabile per un giovane poeta, oltre che per una certa tipologia di poesia contemporanea che punta più su un immaginario brusco, diretto e sferzante. Matteo Bianchi ha imparato “a giocare con le parole e la lingua” partendo da una poesia di sfogo, tentativo di riflessione sugli avvenimenti che capitano mentre si è impegnati a vivere, e ha affinato i suoi metodi e i suoni delle sue parole, in questo caso affidandosi al suono del canto dei merli, che nella simbologia orientale e occidentale sono emblemi carichi si significato, i primi uccelli a cantare al mattino e gli ultimi a farlo al tramonto.
Scritto da: Grazia Russo
Data: 06-05-2011
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