Apr 03 2013
Recensione
“Sono venuto a Cape Point, dove la strada termina davanti all'oceano. Volevo percorrere il mio itinerario da nord a sud fino all'ultimo metro percorribile, fino a trovarmi di fronte all'evidenza del mare, all'impossibilità di proseguire e pertanto alla certezza di essere giunto alla fine”. Nasce come una sfida o quasi, quaranta giorni per fare da capo a capo dell'Africa, dall'Algeria al Sud Africa. Nei mesi di marzo e aprile del 1992 Sergio Ramazzotti, all'epoca reporter per “Auto Capital”, percorre più di 13.000 km attraverso il continente: “a bordo di camion, treni merci e passeggeri, taxi, furgoni, traghetti e barchini, e per alcuni tratti anche a piedi”. È la possibilità di fare un servizio importante, fare lo stesso percorso della gara di rally Parigi-Le Cap, ma con i mezzi pubblici. Un intenso e coinvolgente racconto che ti prende alla partenza da Algeri e ti lascia solo arrivato a Capo Buona Speranza, facendoti calpestare ogni metro di strada a fianco a lui. Sergio ti spiega la strada, la fatica che sta facendo, ti trasmette la grande passione che prova per quella terra. Scrive semplice e schietto, non perde un particolare, un volto colpito dal sole o una figura nascosta nel buio della notte africana. Ti senti vicino a lui, sei esaltato e sconsolato quando lo è lui, sudi e cammini con lui, parli con chi parla lui, hai fame e sete che quasi riesci a condividere un po' quello che sta vivendo, lì con lui nel cuore più antico del mondo. Sei un suo compagno d'avventura.
Nella sabbia del deserto, in quella notte d'illegalità per raggiungere il Niger, costretto dagli eventi (polizia autoritaria e corrotta e una burocrazia di dogana ostile e altrettanto corrotta) ad affidarsi alla promessa di un tassista e a giocarsi il tutto per tutto in un’indimenticabile notte che affronterà solo nel deserto: “Appena apro lo sportello la polvere mi aggredisce. Il vento ha scatenato una tempesta di sabbia urlante e mi sputa granelli pungenti sul viso [...] sono in terra di nessuno, in questo limbo sabbioso. Mi siedo sullo zaino e mentre fisso le luci rosse della Toyota (quella del tassista) che diventano sempre più fioche e piccole, comincio a pensare”. Per fortuna poi il tassista torna a riprenderlo e Sergio riesce a continuare la sua strada. Sono molti gli amici che incontra sul suo cammino, persone sincere e aperte, disposte a raccontare la propria vita nel tempo di una notte, nel solito cassone sgangherato in un fuoristrada altrettanto sgangherato. Sempre stipati come sardine, con il nostro amico, aggrappati alla vita e alla speranza. Da un estremo all'altro, dalla povertà dei molti al lusso estremo dei signori potenti, governanti semi-divini con ricchezze inaudite accumulate in anni di dittature feroci. E Sergio, in mezzo a tutto questo, che lotta per raggiungere la sua meta. Si impressiona e si fa prendere da ciò che lo circonda, senza pudore esprime le proprie opinioni e idee senza badare troppo alla forma.
Ogni paese che attraversa, e ora della fine saranno parecchi, è un'occasione per conoscerne e descriverne la storia e fotografare i suoi passi su quella terra. La passione per la denuncia lo guida nel suo viaggio, ma soprattutto è la sua inesauribile curiosità a fare di questo libro un mezzo reale e possibile di comprensione per questo mondo così lontano. Questo libro è vero, è la realtà di un reportage continuo, da giornalista, con in più l'impegno per i dettagli, caratteristico dello storico ma soprattutto con quel tocco del romanziere che da vita alla ricetta perfetta. “Vado verso il Capo” è un libro che mi è piaciuto molto, da lasciarmi con un po’ di amarezza e nostalgia per la fine di questa avventura: “si sente un sibilo lontano: senza fretta rulliamo verso la testata della pista e ci allineiamo per il decollo. Un istante prima che le ruote si stacchino da terra vorrei poter scendere e andare a prendere l'autobus”.
Scritto da: Antonio Vergoni
Data: 03-04-2013
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